Articoli n. 3/2016 - http://www.ufficioliturgicoroma.it "La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia." Questo sito vuole migliorare il servizio che l'Ufficio Liturgico offre alla Diocesi di Roma e ha lo scopo di rispondere alle diverse esigenze pastorali. it 11/03/2016: 1-Editoriale > p. G. Midili Fri, 11 Mar 2016 10:18:33 GMT newsletter-nonrispondere@ufficioliturgicoroma.it (Young at Work communication - www.yatw.eu) Cari amici,
in questo nuovo numero di “Culmine e fonte newsletter” l’Ufficio liturgico di Roma vi propone una riflessione sul salmo 130, a cura del biblista padre Odasso. Il commento può essere di aiuto per un momento di preghiera personale durante la Quaresima.
Il secondo testo è la Nota della Congregazione del culto divino sullo scambio della pace durante la Messa. Si tratta di un testo conosciuto, ma che ancora non ha trovato attuazione in tutte le celebrazioni.
Quest’anno la solennità di S. Giuseppe cade in prossimità della Settimana santa. Per questo motivo è sembrato opportuno proporre alcuni adattamenti pastorali, per garantire che ogni celebrazione abbia la sua dignità, nel rispetto del percorso dell’anno liturgico.
Infine l’Ufficio liturgico propone di attuare quanto prevede il Messale a proposito della presentazione degli Olii benedetti il giovedì santo. È possibile anche usare il testo che viene presentato qui per l’accoglienza degli Olii durante la celebrazione.
Augurando a tutti un buon lavoro, colgo l’occasione per inviare un saluto

p. Giuseppe

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11/03/2016: 2-Commento al Salmo 130 > P. G. Odasso, c.r.s. Mon, 14 Mar 2016 10:07:55 GMT newsletter-nonrispondere@ufficioliturgicoroma.it (Young at Work communication - www.yatw.eu) «CON TE E’ IL PERDONO… E’ L’AMORE»
(Sal 130,4.7)
 

Tra i salmi maggiormente conosciuti dalle comunità cristiane figura senza dubbio il Sal 130, soprattutto perché è utilizzato sia nei momenti toccanti delle veglie funebri, sia nella preghiera liturgica e in quella individuale per i defunti. L’analisi di questo Salmo permetterà di individuare il suo orizzonte sapienziale e «teologico» e al tempo stesso aiuterà a sviluppare una familiarità progressiva con il libro dei Salmi.

1. Il testo del Salmo
Presentiamo anzitutto il testo del Sal 130 in una nostra traduzione1:

1 Canto dei pellegrinaggi.
Dal profondo t’invoco, o Signore!
2 Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce delle mie suppliche.
3 Se tu consideri le colpe, Signore,
Signore chi potrebbe sussistere?
4 Sì con te è il perdono,
perché tu sia temuto.
5 Io spero nel Signore,
spera l’anima mia,
perché attendo la sua parola.
6 L’anima mia attende il Signore
più che le sentinelle il mattino …
più che le sentinelle il mattino!
7 Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è l’amore
e sovrabbondante con lui è il riscatto
8 Sarà lui a riscattare Israele
da tutte le sue colpe.

2. Genere letterario e struttura
Il Sal 130, che a motivo delle parole iniziali della versione latina è tradizionalmente noto come il «De profundis», appartiene alla raccolta dei «Salmi dei pellegrinaggi» o «delle salite».2 I primi due versetti contengono il vocabolario proprio della supplica con cui l’orante si rivolge fiducioso al Signore. Il nostro Salmo, però, presenta una spiccata originalità che impedisce di catalogarlo in un genere letterario specifico. L’oggetto della supplica, infatti, non è indicato esplicitamente. L’affermazione dei vv. 3-4 («se tu consideri le colpe… ») potrebbe far pensare a un «cantico penitenziale» (A. Deissler), a una supplica per ottenere il perdono dei peccati. In realtà i versetti che seguono si muovono nell’ambito dell’attesa escatologica, un’attesa che dall’orizzonte esistenziale dell’orante si dilata fino a coinvolgere tutto Israele in un orientamento di abbandono fiducioso nel Signore, presso il quale è l’amore e «sovrabbondante è il riscatto». Supplica, attesa, speranza sono i motivi che, con il loro intrecciarsi in una profonda sintesi «sapienziale», culminano con una confessione di fede («con il Signore è l’amore …») che ricorre a espressioni connesse con la proclamazione del Nome del Signore di Es 34,6-73 e con la sua riformulazione in Nm 14,17-19 e nel Sal 103.4
Questi rilievi consentono di individuare la seguente struttura del Salmo
I. Introduzione: ardente invocazione del Signore (vv. 1 – 2)
II. Confessione del Signore che perdona perché si viva in comunione con lui (vv. 3 – 4)
III. Speranza e attesa, come espressioni vitali della fede dell’orante (vv. 5 – 7a)
IV. Conclusione: l’attesa di Israele che si fonda nel Dio che perdona (vv. 7b – 8).

3. Invocazione del Signore (vv. 1-2)
Il Salmo inizia con un’invocazione formulata con espressioni che ricorrono frequentemente nel Salterio. Così l’imperativo «ascolta» s’incontra nei Sal 39,13; 84,9; 102,2, dove s’invoca Dio perché esaudisca la preghiera. Il Sal 119,149 presenta la stessa costruzione del nostro Salmo: l’orante chiede a Dio che ascolti la sua voce. Questa invocazione ha un significato profondo. Essa suppone, infatti, che l’orante non si rivolge a un “tu” frutto della sua immaginazione, ma al «Tu» divino, che mediante la fede si manifesta e viene incontro alla persona umana come il Dio dell’esodo, il Dio che libera e salva. Con la preghiera l’orante esprime la sua speranza nella parola divina (cf. Sal 119,147) e, quindi, la certezza di essere in una relazione di comunione con il Signore. In forza di questa relazione egli invoca dal «suo» Dio i beni fondamentali per la propria esistenza: la liberazione dai nemici, la pace, la sicurezza e la stessa salvezza messianica (cf. Sal 84,9-10).
Nel Sal 119 la richiesta che Dio ascolti la voce dell’orante è parallela all’invocazione che gli conceda la vita: «Ascolta la mia voce secondo il tuo amore, fammi vivere secondo il tuo disegno» (v. 149). Quest’ultimo significato corrisponde pienamente all’orizzonte spirituale del nostro Salmo nel quale l’orante innalza la sua voce a Dio «dal profondo», anzi dalle «profondità» (mimma‘amaqqîm). L’espressione connota le profondità del mare, dove Israele avrebbe incontrato la propria fine se il Signore non le avesse trasformate in una via «perché vi passassero i redenti» (Is 51,10). L’espressione è dunque connessa con il tema che sorregge tutta la teologia biblica dell’esodo: solo il Signore può liberare dalla minaccia incombente e ineludibile della morte. Per questo, l’affermazione di Is 51,10 è sviluppata in riferimento al nuovo esodo, escatologico, quando «i riscattati dal Signore ritorneranno e verranno in Sion con esultanza; gioia perenne sarà sul loro capo; giubilo e gioia li accompagneranno, perché saranno scomparsi per sempre il pianto e l’afflizione» (Is 51,11). Di conseguenza, con l’espressione «dal profondo», che allude a Is 51,10-11, il Sal 130 si presenta come la preghiera di chi è consapevole che solo il Signore può liberarlo dalla propria situazione, minacciata dalla morte.

4. Sussistere davanti a Dio (vv. 3-4)
Anche se nei vv. 3-4 è presente il motivo del perdono, il tema centrale è espresso nella domanda «chi potrebbe sussistere?», letteralmente: «chi potrebbe stare (davanti al tuo volto)?» (mî ja‘amod). La domanda affronta la questione fondamentale dell’«uomo religioso», per il quale è un’esigenza vitale «stare davanti a Dio». Lo stesso interrogativo ricorre nel Sal 76,8 («chi potrà sussistere davanti al tuo volto a motivo della tua ira?») dove, come risulta dal contesto, si annuncia la fine di tutte le potenze storiche avverse al disegno di Dio, fine che avverrà «quando Dio sorgerà per realizzare il diritto, per salvare tutti gli umili (anawîm) della terra» (Sal 76,10).
Questo testo permette di intravedere la funzione centrale che svolge la domanda posta dal v. 3: «Se tu consideri le colpe […] chi potrebbe sussistere?». L’orante, in sintonia con la visione teologica della Torah, è consapevole che le colpe pongono il popolo del Signore in una situazione di morte (cf. Es 32,7-10), perché lo “separano” totalmente dal Dio vivente (cf. Is 59,2), così come la luce è di sua natura separata dalle tenebre (cf. Gen 1,4)! Al tempo stesso, però, è ancora la Torah che fa sentire la voce del Signore che si presenta «pieno di tenerezza e propizio» (cf. Es 34,6-7) ed è sempre la Torah che confessa che l’amore del Signore è infinitamente più potente degli effetti mortiferi causati dall’infedeltà del popolo. Questa visione di fede è approfondita nei testi recenti dell’opera deuteronomistica e soprattutto nell’opera del Cronista5. Il Sal 130, che rispecchia questi approfondimenti recenti, annuncia che l’uomo, nonostante la sua condizione di peccatore, può stare davanti al Signore perché “con” il Signore è il perdono (hasselîhâh). Dove è il Signore lì c’è il suo perdono!6 Proprio questa concezione è confermata da Ne 9,17, dove si riporta l’autopresentazione del Signore di Es 34,6-7 («pieno di tenerezza, propizio, […] immenso nell’amore e nella fedeltà») premettendovi, come titolo, l’espressione «tu sei il Dio del perdono» (’elo’ah selîhôt).7
In queste testimonianze il «perdono dei peccati» è compreso nell’ottica della profezia escatologica, per la quale esso non consiste semplicemente nella cancellazione della macchia dell’infedeltà, ma è soprattutto inteso come segno della nuova alleanza (cf. Ger 31,31-34) e, quindi, come «nuova creazione» grazie alla quale la comunità, apostrofata un tempo dai profeti come sposa infedele, è «presa» dal Signore ed è «rinnovata» nella tenerezza ineffabile del suo amore fedele e misericordioso (cf. Is 54,4-10.13; Is 61,10-62,5).
Le osservazioni qui sviluppate trovano una luminosa conferma nel v. 4: «con te è il perdono perché tu sia temuto». La finalità che il Signore si propone con il suo perdono è quella di «essere temuto». Il verbo «temere» nel linguaggio della Scrittura non è connesso, come avviene nella nostra cultura, con l’idea della paura, dello spavento, ma con l’idea della venerazione, dell’adorazione, atteggiamenti con cui il credente si apre al mistero di Dio per vivere con gioia ed esultanza alla sua presenza, «davanti al suo volto» (cf. Sal 100,2). A questo riguardo è significativo il fatto che l’orientamento totale, esclusivo e permanente del credente al Signore è espresso con il verbo «temere» e, nel contempo, con i verbi «amare», «servire» il Signore» (cf. Dt 10,12), come pure con il verbo “rimanere unito” a lui (Dt 10,20), verbo che suppone la comunione con Dio propria di chi vive nella gioia del suo amore sponsale. Infine, è molto illuminante la prospettiva degli anawîm, cioè di coloro che fecero la scelta di essere fedeli al Signore e alla sua Parola. Secondo tale prospettiva «coloro che temono il Signore» sono coloro che lo «cercano» (cf. Sal 22,24-27), che «si rifugiano» in lui (cf. Sal 34,8-10.23), che «attendono» nella speranza il suo amore (Sal 147,11).
In definitiva, l’insieme di questi testi dimostra che, elargendo il perdono, il Signore intende accogliere il suo popolo e con esso l’umanità redenta, secondo la concezione escatologica, perché tutti stiano, «sussistano» davanti al suo volto e, quindi, vivano nella gioia della sua salvezza.

5. Speranza e attesa (vv. 5-6)
Chi invoca il Signore, dalle profondità in cui si trova, può stare alla sua presenza, può sussistere davanti al suo volto, perché presso di lui, anzi con lui è il perdono! Questa certezza, affermata nei versetti precedenti, apre il cuore del credente alla speranza Mediante il verbo «sperare» (qawâh) l’orante si pone nel numero di «coloro che sperano» nel Signore e «confidano» in lui (cf. Sal 25,1-5.21). La speranza del salmista, in definitiva, riecheggia la voce degli anawim (cf. Sal 25,8), che vivono nella fedeltà al Signore e attendono il giorno della salvezza escatologica, quando si compirà la promessa divina: «tu conoscerai che io sono il Signore, perché non saranno mai più confusi coloro che sperano in me» (Is 49,23b).
La speranza, nel nostro Salmo, si fonda sull’attesa della Parola del Signore. Il sintagma «attendo la sua Parola» suppone che per la comunità degli anawîm, alla quale l’orante appartiene, la «parola del Signore» è, nella sua dimensione più profonda, caratterizzata dalla promessa della salvezza, promessa che è delineata nei suoi molteplici aspetti dai numerosi testi escatologici sparsi soprattutto nei libri profetici e nei Salmi. Questi diversi aspetti hanno lo scopo di illuminare e approfondire un messaggio fondamentale: quello che assicura la piena realizzazione dell’alleanza e, quindi, la piena comunione di vita con il Signore. In questa visuale l’attesa della Parola del Signore diventa attesa del Signore, che verrà per liberare l’umanità dalla corruzione della morte e guidarla, per il sentiero della vita, alla «pienezza della gioia» davanti al suo volto (cf. Sal 16,10-11).
La ripetizione dell’immagine delle sentinelle, che durante il loro turno di notte attendono il mattino (v. 6b), è una finezza stilistica che lascia intuire quanto l’attesa del Signore sia non la parola subdola che riveste un pensiero vuoto, ma un’esperienza che afferra intensamente la vita del credente e lo guida a orientare totalmente se stesso e la propria esistenza al Dio vivente.

6. L’attesa di Israele (vv. 7-8)
Alla luce degli ultimi due versetti l’attesa autentica del Signore da parte dell’orante si configura come il paradigma della fede di Israele. Se l’espressione «con il Signore è il perdono» apre al credente la possibilità di stare davanti al volto di Dio, l’espressione «con il Signore è l’amore» sviluppa nel popolo dell’alleanza l’attesa gioiosa del Signore, rinnova nell’intimo dei credenti la sete di Dio e il desiderio ardente dell’incontro con lui nella pienezza della gioia escatologica della salvezza. Con il Signore è il perdono, perché con il Signore è l’amore (hesed): l’amore sempre fedele e misericordioso. L’orizzonte escatologico, che è sullo sfondo del Salmo, riceve una particolare enfasi proprio dall’affermazione che segue: «e sovrabbondante con lui è il riscatto». Il sostantivo «riscatto» e il verbo «riscattare» in molti testi connotano la liberazione escatologica del popolo di Dio: il «Signore riscatterà i suoi servi» (Sal 34,23) ed essi verranno in Sion con esultanza (Is 35,10; 51,11). Allora si realizzerà la nuova Sion che «sarà riscattata con la giustizia» e per questo «sarà chiamata città della giustizia, città fedele» (Is 1,26b-27). A questa Sion escatologica affluiranno tutte le genti per camminare nelle vie del Signore (cf. Is 2,2-4) e partecipare al banchetto dell’alleanza che il Signore preparerà per tutti i popoli (Is 25,6-8).
La liberazione di Israele «da tutte le sue colpe» è appunto l’evento che manifesta l’irrompere della salvezza escatologica e l’avvento della «città della giustizia». È questo il riscatto «sovrabbondante», incommensurabile che costituisce il cuore stesso della speranza dell’orante e di tutto il popolo del Signore.

7. Rilievi e prospettive
Le riflessioni sviluppate permettono di intravedere la ricchezza del Sal 130 e il suo influsso nella tradizione liturgica e nella pietà popolare del popolo cristiano.
A livello simbolico risalta l’invocazione che l’orante innalza a Dio «dal profondo»: dalle profondità del suo cuore, della sua esistenza minacciata dalla morte; dalle profondità della sua «storia», personale e sociale, insidiata dal peccato.
Sempre a livello simbolico svolge una funzione cruciale il motivo della speranza. Con la speranza l’uomo non rimane imprigionato nel proprio passato, ma si proietta verso il futuro. Diversamente dalle illusioni ingannevoli ed effimere di chi vive nella stoltezza (cf. Pr 14,8), la speranza del Salmista si fonda sulla Parola: la Parola che rivela il Dio presso il quale è il perdono e l’amore, il Dio che crea una realtà nuova (cf. Is 43,18-19). L’attesa del Sal 130 orienta al futuro di Dio, al «riscatto» escatologico del popolo del Signore e, con esso, alla redenzione di tutte le genti.
La dimensione escatologica sottesa al nostro Salmo consente di leggerlo nella luce che scaturisce dalla fede nella risurrezione e quindi, per ogni comunità cristiana, nella luce del Signore risorto. Questa lettura, sviluppata nei testi liturgici8, vede la figura dell’orante del Salmo realizzarsi perfettamente nel Cristo che «nei giorni della sua esistenza terrena, con grandi grida e lacrime, offrì preghiere e suppliche a colui che lo poteva liberare dalla morte, e fu esaudito a motivo del suo timore di Dio» (Eb 5,7).
Nell’orizzonte cristologico-pasquale della lettera agli Ebrei si comprende l’accoglienza che il Salmo ha avuto e continua ad avere nella preghiera per i fedeli defunti. Con questo Salmo chi prega fa propria, nella fede, la condizione di chi la lasciato questo mondo e dalle profondità della sua morte invoca il Dio presso il quale è il perdono e l’amore, il Dio che ha risuscitato Gesù dai morti e che con il suo perdono chiama ogni uomo, a essere pienamente partecipe della gloria del Cristo risorto per vivere in eterno davanti al suo volto.
La confessione del Signore presso il quale è il perdono e l’amore ha guidato, inoltre, la tradizione cristiana ad annoverare il Sal 130 nel gruppo dei «Salmi penitenziali».9 In questa prospettiva il Salmo orienta il credente a non rimanere nella tristezza di chi si trova nelle profondità della colpa, ma ad innalzarsi alla comunione con Dio per trovare in lui e con lui la grazia del perdono e la gioia del suo amore. Qui la «penitenza» è veramente ciò che nel NT è indicato con il termine metànoia: un cammino orientato a Dio, un cammino di libertà nell’attesa di Dio e della sua salvezza in Cristo Gesù.

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11/03/2016: 3 -Nota della Congregazione del culto sullo scambio della pace Fri, 11 Mar 2016 16:02:47 GMT newsletter-nonrispondere@ufficioliturgicoroma.it (Young at Work communication - www.yatw.eu) CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

Prot. N. 414/14


LETTERA CIRCOLARE
L’ESPRESSIONE RITUALE DEL DONO DELLA PACE NELLA MESSA

 

1. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace»,  sono le parole con le quali Gesù promette ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo, prima di affrontare la passione, il dono della pace, per infondere in loro la gioiosa certezza della sua permanente presenza. Dopo la sua risurrezione, il Signore attua la sua promessa presentandosi in mezzo a loro nel luogo dove si trovavano per timore dei Giudei, dicendo: «Pace a voi!».  Frutto della redenzione che Cristo ha portato nel mondo con la sua morte e risurrezione, la pace è il dono che il Risorto continua ancora oggi ad offrire alla sua Chiesa riunita per la celebrazione dell’Eucaristia per testimoniarla nella vita di tutti i giorni.

2. Nella tradizione liturgica romana lo scambio della pace è collocato prima della Comunione con un suo specifico significato teologico. Esso trova il suo punto di riferimento nella contemplazione eucaristica del mistero pasquale – diversamente da come fanno altre famiglie liturgiche che si ispirano al brano evangelico di Matteo (cf. Mt 5, 23) – presentandosi così come il “bacio pasquale” di Cristo risorto presente sull’altare.  I riti che preparano alla comunione costituiscono un insieme ben articolato entro il quale ogni elemento ha la sua propria valenza e contribuisce al senso globale della sequenza rituale che converge verso la partecipazione sacramentale al mistero celebrato. Lo scambio della pace, dunque, trova il suo posto tra il Pater noster − al quale si unisce mediante l’embolismo che prepara al gesto della pace – e la frazione del pane – durante la quale si implora l’Agnello di Dio perché ci doni la sua pace −. Con questo gesto, che «ha la funzione di manifestare pace, comunione e carità»,  la Chiesa «implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento»,  cioè al Corpo di Cristo Signore.

3. Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis il Papa Benedetto XVI aveva affidato a questa Congregazione il compito di considerare la problematica concernente lo scambio della pace,  affinché fosse salvaguardato il senso sacro della celebrazione eucaristica e il senso del mistero nel momento della Comunione sacramentale: «L’Eucaristia è per sua natura Sacramento della pace. Questa dimensione del Mistero eucaristico trova nella Celebrazione liturgica specifica espressione nel rito dello scambio della pace. Si tratta indubbiamente di un segno di grande valore (cf. Gv 14,27). Nel nostro tempo, così spaventosamente carico di conflitti, questo gesto acquista, anche dal punto di vista della sensibilità comune, un particolare rilievo in quanto la Chiesa avverte sempre più come compito proprio quello di implorare dal Signore il dono della pace e dell’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana. […] Da tutto ciò si comprende l’intensità con cui spesso il rito della pace è sentito nella Celebrazione liturgica. A questo proposito, tuttavia, durante il Sinodo dei Vescovi è stata rilevata l’opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressioni eccessive, suscitando qualche confusione nell’assemblea proprio prima della Comunione. È bene ricordare come non tolga nulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessaria a mantenere un clima adatto alla celebrazione, per esempio facendo in modo di limitare lo scambio della pace a chi sta più vicino».

4. Il Papa Benedetto XVI, oltre a mettere in luce il vero senso del rito e dello scambio della pace, ne evidenziava il grande valore come contributo dei cristiani, con la loro preghiera e testimonianza a colmare le angosce più profonde e inquietanti dell’umanità contemporanea. Dinanzi a tutto ciò egli rinnovava il suo invito a prendersi cura di questo rito e a compiere questo gesto liturgico con senso religioso e sobrietà.

5. Il Dicastero, su disposizione del Papa Benedetto XVI, ha già interpellato le Conferenze dei Vescovi nel maggio del 2008 chiedendo un parere se mantenere lo scambio della pace prima della Comunione, dove si trova adesso, o se trasferirlo in un altro momento, al fine di migliorare la comprensione e lo svolgimento di tale gesto. Dopo approfondita riflessione, si è ritenuto conveniente conservare nella liturgia romana il rito della pace nel suo posto tradizionale e non introdurre cambiamenti strutturali nel Messale Romano. Si offrono di seguito alcune disposizioni pratiche per meglio esprimere il contenuto dello scambio della pace e per moderare le sue espressioni eccessive che suscitano confusione nell’assemblea liturgica proprio prima della Comunione.

6. Il tema trattato è importante. Se i fedeli non comprendono e non dimostrano di vivere, con i loro gesti rituali, il significato corretto del rito della pace, si indebolisce il concetto cristiano della pace e si pregiudica la loro fruttuosa partecipazione all’Eucaristia. Pertanto, accanto alle precedenti riflessioni che possono costituire il nucleo per una opportuna catechesi al riguardo, per la quale si forniranno alcune linee orientative, si offre alla saggia considerazione delle Conferenze dei Vescovi qualche suggerimento pratico:

a) Va definitivamente chiarito che il rito della pace possiede già il suo profondo significato di preghiera e offerta della pace nel contesto dell’Eucaristia. Uno scambio della pace correttamente compiuto tra i partecipanti alla Messa arricchisce di significato e conferisce espressività al rito stesso. Pertanto, è del tutto legittimo asserire che non si tratta di invitare “meccanicamente” a scambiarsi il segno della pace. Se si prevede che esso non si svolgerà adeguatamente a motivo delle concrete circostanze o si ritiene pedagogicamente sensato non realizzarlo in determinate occasioni, si può omettere e talora deve essere omesso. Si ricorda che la rubrica del Messale recita: “Deinde, pro opportunitate, diaconus, vel sacerdos, subiungit: Offerte vobis pacem”.

b) Sulla base delle presenti riflessioni, può essere consigliabile che, in occasione ad esempio della pubblicazione della traduzione della terza edizione tipica del Messale Romano nel proprio Paese o in futuro quando vi saranno nuove edizioni del medesimo Messale, le Conferenze dei Vescovi considerino se non sia il caso di cambiare il modo di darsi la pace stabilito a suo tempo. Per esempio, in quei luoghi dove si optò per gesti familiari e profani del saluto, dopo l’esperienza di questi anni, essi potrebbero essere sostituiti con altri gesti più specifici.

c) Ad ogni modo, sarà necessario che nel momento dello scambio della pace si evitino definitivamente alcuni abusi come:
- L’introduzione di un “canto per la pace”, inesistente nel Rito romano.
- Lo spostamento dei fedeli dal loro posto per scambiarsi il segno della pace tra loro.
- L’allontanamento del sacerdote dall’altare per dare la pace a qualche fedele.
- Che in alcune circostanze, come la solennità di Pasqua e di Natale, o durante le celebrazioni rituali, come il Battesimo, la Prima Comunione, la Confermazione, il Matrimonio, le sacre Ordinazioni, le Professioni religiose e le Esequie, lo scambio della pace sia occasione per esprimere congratulazioni, auguri o condoglianze tra i presenti.

d) Si invitano ugualmente tutte le Conferenze dei Vescovi a preparare delle catechesi liturgiche sul significato del rito della pace nella liturgia romana e sul suo corretto svolgimento nella celebrazione della Santa Messa. A tal riguardo la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti allega alla presente Lettera circolare alcuni spunti orientativi.

7. La relazione intima tra la lex orandi e la lex credendi deve ovviamente estendersi alla lex vivendi. Raggiungere oggi un serio impegno dei cattolici nella costruzione di un mondo più giusto e più pacifico s’accompagna ad una comprensione più profonda del significato cristiano della pace e questo dipende in gran parte dalla serietà con la quale le nostre Chiese particolari accolgono e invocano il dono della pace e lo esprimono nella celebrazione liturgica. Si insiste e si invita a fare passi efficaci su tale questione perché da ciò dipende la qualità della nostra partecipazione eucaristica e l’efficacia del nostro inserimento, così come espresso nelle beatitudini, tra coloro che sono operatori e costruttori di pace.

8. Al termine di queste considerazioni, si esortano, pertanto, i Vescovi e, sotto la loro guida, i sacerdoti a voler considerare e approfondire il significato spirituale del rito della pace nella celebrazione della Santa Messa, nella propria formazione liturgica e spirituale e nell’opportuna catechesi ai fedeli. Cristo è la nostra pace,  quella pace divina, annunziata dai profeti e dagli angeli, e che Lui ha portato nel mondo con il suo mistero pasquale. Questa pace del Signore Risorto è invocata, annunziata e diffusa nella celebrazione, anche attraverso un gesto umano elevato all’ambito del sacro.


Il Santo Padre Francesco, il 7 giugno 2014, ha approvato e confermato quanto è contenuto in questa Lettera circolare, preparata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e ne ha disposto la pubblicazione.

Dalla sede della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 8 giugno 2014, nella Solennità di Pentecoste.


Antonio Card. CAÑIZARES LLOVERA
Prefetto


✠ Arthur ROCHE
Arcivescovo Segretario

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11/03/2016: 4-Nota sulla celebrazione di S. Giuseppe nell’anno 2016 Wed, 16 Mar 2016 07:00:39 GMT newsletter-nonrispondere@ufficioliturgicoroma.it (Young at Work communication - www.yatw.eu) Indicazioni liturgiche per la solennità di S. Giuseppe dell’anno 2016


In vista della prossima solennità di S. Giuseppe (sabato 19 marzo) che
quest’anno cade proprio alle soglie della Settimana Santa, è sembrato
opportuno offrire alcune indicazioni pastorali, secondo quanto previsto nella
Guida Liturgica regionale (p. 121).
1. Si raccomanda di segnalare ai fedeli la solennità di san Giuseppe e
gli orari delle celebrazioni nel bollettino parrocchiale e negli avvisi dati la
Domenica precedente.
2. Si consiglia di utilizzare il venerdì sera per tutte le iniziative
pastorali suggerite dall’occasione: benedizione dei papà, feste della famiglia,
iniziative con i bambini per la “festa del papà” etc.
3. La celebrazione ha grado di solennità, si celebra con le vesti
liturgiche di colore bianco, eucologia e letture proprie, il canto del Gloria e la
professione di fede. Rimane naturalmente l’esclusione dell’Alleluia (espunto
completamente dalla liturgia romana del tempo di Quaresima da papa Gregorio
Magno).
4. È consentito ornare l’altare con i fiori e si possono suonare gli
strumenti musicali, senza la limitazione quaresimale all’accompagnamento dei
canti.
5. Si prepari con cura la preghiera universale, in cui si ricorderanno in
maniera particolare la vocazione alla paternità e i padri presenti. Si ricordino
anche i genitori defunti. Si riservi un’intenzione al nostro Vescovo, Papa
Francesco, nel giorno anniversario dell’inizio del suo ministero di supremo
pastore (2013).
6. Dopo la preghiera di post comunione si può impartire una
benedizione particolare ai padri presenti, includendo opportunamente i padri in
attesa che il loro figlio venga alla luce. Se le circostanze e gli spazi lo
consentono si possono invitare i padri a venire avanti (non però in presbiterio),
portando con loro i figli. Per la formula di benedizione si evitino invenzioni
estemporanee. In appendice a questa nota si propongono alcuni testi desunti dai
libri liturgici approvati e adattati alla circostanza.
7. La sera di sabato 19 marzo inizia la settimana santa con la
celebrazione dei primi vespri della Domenica delle Palme. Anche la Messa
vespertina sarà quella della Domenica, con la possibilità di ingresso
processionale o solenne per la benedizione dei rami. Si abbia cura nel
pomeriggio di rimuovere l’ornamentazione floreale e di ornare il presbiterio e la
croce con rami di palma e olivo.

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11/03/2016: 5-Nota sulla presentazione degli Olii nella Messa del Giovedì santo Fri, 11 Mar 2016 10:35:39 GMT newsletter-nonrispondere@ufficioliturgicoroma.it (Young at Work communication - www.yatw.eu) Il Giovedì santo dalle ore 14.30 alle ore 17.00 nella cappella del Crocifisso della Basilica Lateranense (ingresso dalla facciata principale, dopo aver effettuato i controlli) è possibile ritirare gli Olii santi, che saranno presentati alla comunità durante la Messa della Cena del Signore. Il parroco o il cappellano ospedaliero dovrà compilare un modulo di delega, che si può scaricare cliccando qui e che dovrà essere esibito dalla persona incaricata al ritiro.

Cliccando qui si può scaricare il testo per l'accoglienza degli Olii all'inizio della celebrazione eucaristica.

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